Il volume è opera di Daniela Baldo e Euro Ponte
La ricorrenza centenaria della Grande Guerra ha di fatto favorito studi e ricerche su aspetti del conflitto rimasti misconosciuti o addirittura prima d’ora scarsamente affrontati. Come l’argomento della creazione della scuola medica da campo altrimenti detta università castrense di S.Giorgio di Nogaro, località situata a ridosso del fronte dell’Isonzo nella bassa pianura friulana.
Con l´entrata italiana in guerra, il regio esercito incorporò gli studenti universitari. Le facoltà di medicina si svuotarono ma altissima era la richiesta di personale medico che avesse cura delle centinaia e centinaia di soldati feriti o ammalati che il conflitto comportava giorno dopo giorno. Grazie all’appoggio di casa Savoia e del Comando Supremo, dal febbraio 1916 fu organizzata una nuova istituzione scolastica in S. Giorgio di Nogaro che raccolse gli studenti del quinto e sesto anno di medicina disseminati in zona di guerra – ben 366 – per frequentare le indispensabili lezioni.
L’istituzione fu strettamente collegata con l’ateneo patavino, dal momento che dal 26 novembre 1916 molti studenti con vincolo di leva, anche dei primi anni del corso di studi, furono inviati a frequentare le lezioni nella città del Santo cosicché, per effetto di un decreto, anche Padova divenne università castrense. Complessivamente per l’anno accademico 1917 si contarono 882 allievi a S.Giorgio di Nogaro e 603 a Padova.
Dall’aprile 1917 tutti gli studenti laureandi indistintamente convennero a Padova per discutere la loro tesi, conseguendo un diploma di laurea in un periodo storico particolare, in circostanze irripetibili e con modalità di apprendimento che superavano di gran lunga quanto previsto dagli studi regolari, e non solo per l’ampia casistica clinico-chirurgica di cui questa scuola medica era dotata ma anche per un organico di insigni docenti militarizzati che provenivano da tutte le facoltà universitarie del regno. Merito dei docenti e ricercatori storici Daniela Baldo ed Euro Ponte aver minuziosamente recuperato, tra una documentazione lacunosa e talora discordante, tutti i nomi degli studenti frequentanti l’università castrense – pressoché duecento – che persero la giovane vita in trincea o che, avendo salva la vita, ottenettero una solenne onorificenza al merito (Gli eroi dell’università castrense. Gli aspiranti medici caduti nella Grande Guerra, Cleup, 2017, 202 pp., 18,00 euro).
Fra loro, più di qualche giovane originario di Padova e della sua vasta diocesi. Come l’aspirante ufficiale medico Sebastiano Fioretti, disperso nella carneficina della battaglia della Bainsizza nell’agosto del ’17, e Mario Gervasoni, caduto in tragiche circostanze al termine della guerra, entrambi di Padova città. Oppure Giovan Battista Poli di Conco, del 112° fanteria, una delle primissime vittime all’insorgere della famigerata epidemia influenzale ancora nell’estate del ’18: per ricordarne il sacrificio, l’ateneo patavino lo proclamò dottore honoirs causa alla memoria. Oppure, Antonio Sacchi da Correzzola, sottotenente medico del 136° fanteria, che conseguì la medaglia di bronzo al valor militare per i soccorsi prestati «con fede e coraggio… in circostanze particolarmente difficili» sul Col dell’Orso (monte Grappa) nei giorni tempestosi della battaglia d’arresto del dicembre del ’17. Quella della scuola medica castrense fu senz’altro un’esperienza universitaria significativa che contribuì al progresso della sanità pubblica italiana del primo Novecento. Tuttavia, per molti suoi allievi si concluse tragicamente sui campi di battaglia nel compimento del proprio dovere: fu infatti proprio l’università castrense ad annoverare il più alto numero di vittime fra tutte le facoltà del regno d’Italia nel corso del conflitto. Alberto Espen
(Articolo pubblicato ne “La Difesa del Popolo” del 29 ottobre 2017)
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