Marta Nezzo
Arte come memoria
Il Poligrafo, 296 pp, 35,00 euro
Agosto 1914: le truppe tedesche sono accampate nella città belga di Lovanio, nelle Fiandre. Il giorno 25 al calar della sera, si scontrano con i soldati belgi. Nel bailamme dei combattimenti fu dato alle fiamme l’edificio della biblioteca universitaria: bruciarono 300 mila libri, ottocento incunabuli, mille manoscritti. Ci spostiamo in Francia, neppure troppo lontano (trecento chilometri), precisamente a Reims: poco meno di un mese dopo, il 19 settembre al terzo giorno di bombardamenti, la città francese è trasfigurata, della splendida cattedrale gotica rimane in piedi soltanto la facciata, il resto è polverizzato, annerito dalle fiamme.
Queste distruzioni furono l’emblema tragico e sintomatico della fragilità del tessuto monumentale nei confronti di una guerra che nel maggio del ’15 si sarebbe spostata anche sul fronte italiano, da allora esposto alla furia distruttrice delle armi. Un fronte drammaticamente vicino a Venezia, ad Aquileia ma anche alla nostra Padova, tutti centri ricchi, ricchissimi di un patrimonio artistico eccezionale stratificatosi nei secoli.
Ripercorrere gli eventi che travolsero i siti monumentali a immediato ridosso della linea del fuoco significa pertanto entrare sia nella storia dei territori attraversati dai combattimenti sia nello straordinario lavoro di conservazione messo in atto per arginare i danni: un’opera in cui, tra gli altri, si distinse uno tra i protagonisti del panorama culturale italiano, Ugo Ojetti, che coordinò, su incarico del Comando Supremo, le attività di messa in sicurezza delle opere di maggior pregio presenti nei territori dell’entroterra interessati dal conflitto. La questione della salvaguardia e tutela delle opere d’arte in genere è ora magistralmente illustrata dal volume Arte come memoria curato da Marta Nezzo, docente dell’ateneo patavino. Merito della pubblicazione è di raccontare quelle vicende attraverso l’immediatezza e la potenza di una serie straordinaria di immagini, reperite in alcuni dei maggiori archivi nazionali.
Nella sequenza delle immagini sfilano i provvedimenti assunti per la difesa delle opere (vedi, per esempio, le protezioni messe in atto per l’altare maggiore della basilica del Santo così come quelle per la statua equestre del Colleoni a Venezia), le rimozioni (celeberrimi il «lievo» dei quattro cavalli di S.Marco dalla basilica marciana di Venezia e la discesa a terra della statua del Gattamelata in piazza del Santo a Padova), il trasporto forzato oltre Appennino delle opere d’arte, ma anche le devastazioni perpetrate nonostante tutto, a permanente memoria di ciò che la guerra è: distruzione, rovina, sfacelo.
Se le prime fatali conseguenze di un bombardamento sul patrimonio artistico colpirono Venezia già il 24 ottobre 1915 quando un ordigno cadde sulla chiesa di S.Maria degli Scalzi distruggendo un’opera di Tiepolo, dalle distruzioni dei propri beni artistico-architettonici non rimase immune la città di Padova: i bombardamenti nemici negli ultimi giorni del dicembre del 1917 causarono l’incendio alla cupola della chiesa del Carmine, devastazioni al teatro Verdi, crolli nell’area del Santo che interessarono il Museo civico, il duomo venne colpito pure il 4 febbraio 1918. La devastazione del tessuto urbano cittadino fu rilevante, a proposito del quale annotiamo numeri impietosi: 211 edifici patirono lesioni o addirittura la totale distruzione, mentre il bilancio delle vittime fu molto pesante con 130 morti e un centinaio di feriti. Per non dire delle rovine sofferte, a partire dalla strafexpedition del maggio del 1916, dai nuclei urbani e dalle chiese delle comunità dell’altopiano di Asiago e, dopo la ritirata di Caporetto, per rimanere sempre nell’ambito della nostra diocesi, dai centri di Valdobbiadene, Bigolino, Alano di Piave, Quero, Segusino, Vas, Valstagna, Campolongo sul Brenta. All’indomani dell’armistizio, per il ritorno alla normalità, ci vollero molto impegno e pure moltissimo denaro, imposto in parte agli stati vinti come riparazione ai danni di guerra.
Collezioni, biblioteche, archivi privati rimasti in sede lungo la linea del fronte, subirono incendi, furti, dispersioni e costituiscono tuttora una perdita difficile da calcolare. Il paesaggio, il tessuto urbano dei paesi dove si combatté, furono cancellati, i palazzi, le chiese, le abitazioni risultarono distrutti: le immagini, inesorabili, mostrano pareti dipinte fessurate che si sgretolano alle intemperie, dilavate dall’acque, mozziconi di pareti, campane asportate come bottino di guerra. Tuttavia, con il sostegno dell’ente Opera di Soccorso per le chiese rovinate dalla guerra, si provvederà a restaurare, edificare ex novo e restituire ornamento agli edifici sacri. Moltissime chiese della diocesi patavina – dai centri maggiori (Asiago, Valdobbiadene) a quelli minori (Foza, Gallio, Sasso, Roana, Canove, Camporovere, Treschè-Conca…) – sono testimonianza tangibile di quest’opera indefessa di ricostruzione, che a cento anni di distanza sta ancora a suffragare la laboriosità e la fede delle popolazioni.
Alberto Espen
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