Museo Le Carceri di Asiago fino al 28 febbraio 2016
In nessun’altra parte d’Europa, come nelle zone alpine e prealpine del Veneto, e in modo particolare nelle provincie di Vicenza, Treviso e Belluno, parte delle quali ricadenti in diocesi di Padova, esiste un territorio profondamente segnato – nella memoria storica dalle vicende e sul territorio dai manufatti – dagli venti accaduti durante il Primo conflitto mondiale. Questi luoghi, in tutta la loro estensione dalla Lessinia alle Dolomti cadorine, dalle sorgenti del Piave alla laguna di Venezia, mostrano ancor oggi con forza le tracce della presenza di un’umanità che per quarantuno mesi ha popolato e sfruttato in maniera intensiva un’area che ancor oggi reca cospicui segni del tempo della grande guerra. Dai giorni della mobilitazione del maggio radioso fino agli ultimi combattimenti, quelli della battaglia di Vittorio Veneto, l’uso dell’immagine, la sua caratteristica matrice, divenne un fatto di straordinario rilievo e senza precedenti.
Quei volti, quei gesti, quei campi di battaglia sul fronte veneto sono rievocati nel libro Il fronte veneto della grande guerra. Cento anni cento immagini (127 p., s.i.p.), a cura di Mauro Passarin e Paolo Pozzato e prefazione di Mario Isnenghi, che non è altro che il bel catalogo della mostra promossa dal consiglio regionale del Veneto per il centenario e in corso di svolgimento fino al 28 febbraio 2016 negli spazi del museo Le carceri di Asiago. Il proposito del libro (e della mostra) è quello di rievocare, un secolo dopo e attraverso un centinaio di fotografie, il calvario di milioni di italiani e italiane, che fra trincee, campi e opifici hanno combattuto per un Paese che, all’epoca del conflitto, era ancora in divenire. Un posto avanzato di vedetta alpina sulle Dolomiti di Sesto, la nostra prima linea sulla sponda destra del Piave, l’intero battaglione alla messa al campo recitata dal cappellano militare nelle immediate retrovie (nella foto), la dolorosa marcia di avvicinamento alle trincee di val Magnaboschi, le rovine dei paesi dell’Altopiano dei Sette Comini, un primo piano di due prigionieri austriaci, laceri e contusi, non sono che alcuni fra gli scatti più suggestivi e toccanti dell’intero percorso fotografico della mostra: le sagome ingobbite dei soldati si alternano agli scorci mozzafiato delle Dolomiti, il bianco e nero si carica di ulteriore drammaticità nei profili delle case sventrate dall’artiglieria nei paesi del Montello così come nelle carovane degli sfollati che cercavano di sfuggire all’invasione austro-tedesca nei giorni dopo Caporetto.
Le immagini sono state recuperate dagli archivi del museo del Risorgimento e della Resistenza di Vicenza e dal museo storico del Settimo Reggimento alpini di villa Pratt di Sedico. Il nord-est ha rappresentato uno dei fronti decisivi e più sanguinosi del conflitto, ma il libro vuole far memoria che dietro i cannoni e dentro le buche delle trincee c’erano prima di tutto degli uomini.
Alberto Espen
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