Oggi parte integrante del paesaggio, i sacrari della Grande Guerra, tra i quali si inserisce a pieno titolo il Tempio della Pace di Padova, alle soglie del centenario si integrano nell’offerta turistica di un territorio. Sorti negli anni Trenta, dopo un lungo dibattito sulla sistemazione dei cimiteri di guerra, sono il frutto di moltissime spinte ideologiche, pratiche, di memoria, di onori. Fortemente voluti dal fascismo quale celebrazione degli eroi guerrieri – nonostante non tutte le tipologie architettoniche rispondano pienamente a questo concetto – i sacrari sono opere monumentali, dove ricordare i caduti. Il compito di questi monumenti non è solo celebrativo; essi, infatti, devono preservare in perpetuo le spoglie dei caduti – ecco dunque il monumento e non il cimitero, ad esempio – e per fare questo le opere in pietra vengono affiancate da due leggi, quella del 1931 e quella del 1935, che garantiscono la perpetuità delle sepolture dei soldati. A tutela di questo nuovo patrimonio è costituita – già dal 1919, ma perfezionata proprio in questi anni – una speciale sezione dipendente dal Ministero della Guerra allora, della Difesa oggi, Onorcaduti. Ciascuno di questi monumenti è circondato da una “Zona Sacra”, più o meno grande, che generalmente conserva alcune vestigia della guerra, come trincee, camminamenti, lapidi. In quasi tutte le strutture è possibile trovare all’interno dei piccoli musei, che spiegano la guerra combattuta in quei luoghi.
Monumenti del lutto, hanno vissuto come tali la prima parte della loro vita, meta di pellegrinaggi, cerimonie, visite private, cimiteri appunto. Il trascorrere del tempo e il progressivo affievolirsi del legame sentimentale e personale dei singoli con questi luoghi li ha sempre più connotati come monumenti nazionali e luoghi di cerimonie pubbliche. Chi li visita oggi è molto spesso spinto da curiosità, ne osserva l’architettura, il paesaggio in cui sono inseriti, legge i nomi dei soldati, magari nella speranza di trovare, tra tanti, un omonimo o un parente.
La loro collocazione, nelle principali zone di guerra, ha tenuto conto molto spesso anche della spettacolarità del contesto naturale nel quale sono stati inseriti. Non è possibile non restare abbagliati dall’impatto visivo del sacrario del Grappa, adagiato sull’omonimo monte, nel quale – grazie al marmo con cui è costruito e a particolari effetti di luce – finisce per perdersi e contemporaneamente dominarlo; o dall’impressione eccezionale che offre la torre ossario del Pasubio quando, a un’improvvisa svolta della carreggiata che vi conduce, appare bianca in mezzo al verde dei pini, per poi nascondersi e riapparire nella lunga sequela dei tornanti che portano alla meta, in un gioco prospetico che termina solo giunti di fronte al monumento; ma anche dall’abbacinante pienezza di Nervesa che domina le colline del Montello e il fiume «sacro alla Patria».
Sono undici i sacrari presenti in Veneto: Grappa; Nervesa; Pocol; Asiago; Arsiero; Pasubio; Tonezza del Cimone; Lido di Venezia; Tempio della Pace di Padova; Tempio di Bassano; cimitero di Feltre, ai quali vanno aggiunti piccoli siti minori. In Veneto sono presenti però anche sacrari di paesi stranieri come il francese di Pederobba; il tedesco di Quero; i cimiteri inglesi sull’Altopiano e lungo il Piave; mentre moltissimi dei caduti austroungarici riposano in siti adiacenti a quelli italiani, come sul Grappa. Quasi tutti si trovano sui monti (Grappa, Tonezza, Pasubio, Asiago, Pocol, Arsiero) o in città già meta di un buon flusso turistico, come il Tempio ossario del Lido, il Tempio della Pace di Padova, il Tempio ossario di Bassano e il sacrario all’interno del cimitero cittadino di Feltre. O in zone fortemente caratteristiche come quello di Nervesa sul Montello.
Questo immenso patrimonio, già di per se sempre più meta di turismo che di pellegrinaggio delle associazioni d’arma e combattentistiche, potrebbe veramente essere il caposaldo sul quale costruire una rete della Grande Guerra che colleghi tutto il territorio della Regione. Come si è detto, questi luoghi non sono semplici monumenti ma enormi cimiteri e, benché immersi nella natura o in città spettacolari, hanno bisogno di un particolare rispetto da parte di chi li visita. Tuttavia, proprio una corretta valorizzazione in un insieme di luoghi dove la Grande Guerra possa essere “riscoperta”, potrebbe essere un’ipotesi interessante per ricontestualizzare i grandi sacrari in un più ampio patrimonio storico, culturale ed emozionale della Regione in primis e della nazione poi, che tenga insieme il rispetto dei luoghi con un aumento dei visitatori.
Il problema di questi monumenti, come in generale per quelli riguardanti il primo conflitto mondiale, è proprio quello di essere diventati, in molti casi, parte integrante di un paesaggio, dati per scontati, con la perdita del senso, dei tempi e dei ritmi della storia, leggibili e apprezzabili solo da frequentatori già acculturati in materia. Se invece il paesaggio, i luoghi e i racconti della Grande Guerra, potessero tornare a narrare una storia nel posto stesso in cui si trovano, e non solo nei libri, acquisterebbero non solo un maggiore peso culturale, ma diventerebbero anche un’importantissima risorsa turistica.
I sacrari, luoghi storici e sacri, meritano ancora oggi, in virtù di quello che rappresentano, di tornare ad avere un ruolo nel paesaggio fisico e mentale del nostro paese.
Lisa Bregantin
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