Luigino Caliaro
Ali. Dall’Adige al Brenta
Aviani&Aviani Editori, Udine
«Sicuramente è un bellissimo sport, ma non vedo utilità per l’esercito».
Così si esprimeva il generale francese Ferdinand Foch mentre assisteva a un’esibizione aerea un paio d’anni prima dello scoppio della Prima guerra mondiale. Mai affermazione, però, si rivelò così infelice e inesatta, poiché a distanza di poco tempo l’aeroplano ebbe modo di affermarsi come una delle nuove armi più importanti (e letali) apparse sullo scenario di guerra, capace di portare, fatto questo raramente accaduto prima, distruzione e morte fuori dagli schemi classici delle linee di combattimento.
Già il 25 maggio 1915 la nostra aviazione bombardava la città di Monfalcone, colpendo le officine elettriche e la stazione ferroviaria a opera di cinque velivoli del 3° Gruppo: questa fu la prima azione in assoluto di attacco dal cielo con aeroplani. Da quel momento, e nei mesi successivi, l’aviazione italiana si rafforzò in sempre maggior misura trasformandosi in una potente ed efficace forza di appoggio alle forze terrestri e marittime, ma anche e soprattutto di offesa con i suoi reparti da caccia e da bombardamento. Negli anni di guerra il controllo dell’aria divenne strategicamente fondamentale come quello sul territorio, e migliaia furono i voli e i duelli nei cieli. E anche se lo sviluppo dell’aereo come arma ausiliaria fu sempre in rapporto con la guerra terrestre, i ruoli della forza aerea si decuplicarono così da impiegare gli stessi velivoli in ogni ruolo: ricognizione, caccia e bombardamento.Gli sforzi nella produzione e nell’addestramento dei piloti arrivarono a toccare, nel 1918, livelli impensabili, fino a portare l’aeronautica a essere una delle più clamorose conquiste tecnologiche del tempo, con immense ripercussioni in campo civile nel primo dopoguerra.
La «nuova arma» s’insediò in maniera profonda anche nel territorio veneto, in particolare a cavallo delle province di Padova e Vicenza. Gran parte dei campi di volo erano infatti ubicati all’interno dell’ideale confine geografico circoscritto dai corsi dei fiumi Adige e Brenta, in una posizione esemplare per le operazioni da compiersi sui contrafforti del Pasubio, del Grappa e dell’altopiano di Asiago, che nel gioco complesso e talora contraddittorio delle vicende che caratterizzarono il corso della Grande Guerra sul fronte italiano, avrebbero costituito – per caratteristiche morfologiche, per valore strategico e soprattutto per le ripercussioni morali e psicologiche degli avvenimenti che in esse si svolsero – un settore fondamentale per le sorti dell’intero conflitto. Sovizzo, Castelgomberto, Asiago, Villaverla, Nove, Casoni di Mussolente, S. Pietro in Gù, Gazzo, S. Pelagio, Padova, Busiago, Isola di Carturo, Arquà Petrarca sono le località che ospitarono i campi di volo, alcuni dei quali salutarono imprese entrate poi nella leggenda: sia sufficiente citare il celeberrimo raid su Vienna dell’estate 1918, compiuto dall’87ª squadriglia che decollò da S. Pelagio, e a lungo propugnato da D’Annunzio, che non essendo pilota vi prese parte a bordo dell’aereo di Natale Palli.
Quest’ultima non è che una che delle tante e tante vicende e curiosità rievocate con dovizia di documentazione dal volume di gran formato Ali. Dall’Adige al Brenta di Luigino Caliaro (Aviani & Aviani editore, p. 298, 34,00 euro), che, grazie a un’imponente selezione fotografica, ricostruisce l’attività aerea dei campi di volo padovani e vicentini. Più di cinquecento immagini e cartine propongono l’attività appassionata, ma al tempo stesso alquanto rischiosa, dei piloti (altrimenti detti «cavalieri del cielo») del corpo aeronautico del regio esercito durante gli anni di guerra nei settori montani del Trentino e dell’Alto Vicentino. Un capitolo specifico è riservato alla descrizione dell’attività delle sezioni aerostatiche e dei tragici bombardamenti che devastarono le città venete, Padova su tutte (ma anche Venezia subì ingenti danni, con ripercussioni dolorose al patrimonio artistico). Rapporti di missione, stralci di racconti autobiografici e di corrispondenze dei piloti arricchiscono la pubblicazione e consentono una migliore comprensione della tragicità della guerra aerea, fatta con mezzi e in condizioni ambientali che, ai nostri occhi di oggi, restituiscono la dimensione del coraggio e dell’abnegazione degli eroici «ragazzi» che su quei velivoli decollavano all’avventura. Infine, una curiosità e un merito del libro: alcune pagine sono dedicate alla ricognizione fotografica e svelano le eccezionali immagini riprese da velivoli ricognitori nel corso di missioni sulle prime linee, offrendoci panoramiche uniche di paesi e città, nelle quali si possono riscontrare le pesanti trasformazioni che hanno investito il paesaggio veneto nel corso dell’ultimo secolo.
Alberto Espen
Alberto Espen
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